13.05.2000
Calcio e polemiche: PER FORTUNA DOMANI È FINITA
Tutti sullo stesso piano. Finalmente. Senza differenze di cultura, di eleganza, di estrazione, di conoscenza del busillis. Che bello! Dovremmo essere grati al calcio, se non altro per questo miracolo ecumenico che ci coaduna in un atollo felice. E non è poco. Più succoso, gratificante e lusinghiero dello stesso calciogiocato è il calcioparlato.
Finalmente, dopo aver fatto piazza pulita della passione ideologica e politica ridotta a straccetto dalla maleducazione di chi ne tratta, ci dedichiamo all’unico definitivo grande amore che possiamo coltivare con competenza: il calcio. Abbiamo l’opportunità di approfondire la conoscenza sulla “sudditanza psicologica” che approda su striscioni e sconvolge gruppi di tifosi più o meno intellettuali. Senza sprecare tempo con campagne elettorali, votazioni, exit-poll, ognuno può esprimere la propria preferenza e sentirsi appagato parlando di ingiustizia, arbitri della situazione, doppio arbitro, macroeconomia, vittorie che non danno potere ma gioia sguaiata. E il gergo è identico tra tifoso presidente e ultrà invelenito.
Per vincere in questo campo non vale più il blasone della nobiltà sportiva, la grandezza del gesto atletico, o l’organizzazione manageriale della squadra. Roba d’altri tempi. Per condire di gusto il pallone sono sufficienti i discorsi infarciti di sospetti. Tutti accomunati dalla ricerca della definizione di quanto accade in questo finale di campionato, che diventa alternativamente sporco, pulito, derubato, sudato, abominevole, sublime, complottistico, adamantino.
Miracolo del calcio, quello di accomunare gli ultrà della Lazio con la dialettica di Moggi-Galliani-Prisco. Potenza dello stadio, che equipara Gaucci e Matarrese che si insultano in diretta dopo Perugia-Bari e le centinaia di tifosi che intasano le autostrade di Internet e i siti sportivi con le loro imprecazioni travestite da analisi tecniche. Prodigio della palla che fa risorgere negli italiani quel senso di giustizia che tutti pensavamo sepolto, tanto da sottoporre a cinque ore di interrogatorio quel poveromadonna dell’arbitro De Santis, come se fosse il peggiore erede di Totò Riina.
Se Dio vuole, domani sarà tutto finito. A meno di qualche appendice per stabilire in un testa a testa chi potrà gloriarsi del titolo. A meno, cioè, di uno spareggio al vertice, per arbitrare il quale sarebbe stato chiamato uno straniero. Boh!
Nell’attesa dell’epilogo finale del campionato più velenoso del secolo, sarebbe celestiale riportare il calcio alla sua dimensione più umana. Sì, un drastico, coraggioso cambiamento, anche di tipo morale. Abolire quegli antiestetici braghettoni che nascondono le cosce degli atleti e obbligare il ripristino dei pantaloncini corti e aderenti di qualche decennio fa. La visione di qualche vistoso, bel ragazzone sarebbe l’unica cosa saggiamente rivoluzionaria. O no?