13.11.2003
Vanity Fair n. 2003
Altro che manodopera: qui la mano bisogna darla a chi sta annegando
Cara Mina,mentre ti scrivo ho negli occhi le immagini di quei poveretti morti nel mare di Lampedusa, e nel cuore tanta tristezza. Sono italiana, ma nata in Svizzera, da genitori emigranti, e non ho dimenticato cosa significhi dover lasciare la propria terra e la propria famiglia per trovare altrove il lavoro e la speranza di un futuro. E mentre politici e commentatori mostrano pietà per le vittime, tutti a dibattere come si può “fermare l’onda dei disperati”. Possibile che ci siamo scordati quel che è successo a tanti connazionali? Capisco che le frontiere bisogna controllarle. Ma continuo a sentire che la nostra economia ha bisogno di questa manodopera, perché certi lavori gli italiani non li fanno più. E allora, perché tanta paura dell’invasione?Silvana, Udine
Sono proprio lucidamente avvilita e sfiduciata. Ho la fondata sensazione che i politici, i capi del mondo non stiano facendo il loro lavoro. Non siano in grado di farlo. Non siano tagliati per questo ufficio, per questa professione che richiederebbe almeno la consapevolezza di essere della nostra stessa razza. Pare che governino un branco di animaletti curiosi o di tacchini o di minus habentes. Insomma, pare che amministrino qualcuno che ha sentimenti, desideri e necessità assolutamente diverse dalle loro. Tanto da non riuscire a capire la nostra psicologia e, ancora di più, la nostra carne. In questa tragedia, ormai diventata così quotidiana da rischiare di trasformarsi in “una cosa normale”, le parole, la demagogia, l’incapacità mi fanno ancora più orrore del solito.
E mi fa orrore anche il sentir dire, come dici tu, che la nostra economia ha bisogno di mano d’opera. Certo, può essere vero. Ma qui si tratta innanzitutto di dare una mano a chi sta affogando. E non metaforicamente, purtroppo. Si tratta di metterli in condizione di non morire. Per quanto riguarda il lavoro, la casa, l’integrazione, il voto, si vedrà domani. Se un domani glielo concederanno.
Purtroppo, cara Silvana, non è cambiato niente da quando Louis Ferdinand Céline nel “Viaggio al termine della notte” diceva: “Per il povero a questo mondo ci sono due principali modi di crepare, o per l’indifferenza assoluta degli altri in tempo di pace, o per la passione omicida quando viene la guerra”.
L’amore eterno? Eccome se esiste, ma non è quello che pensi tu
Carissima Mina,vivo in attesa dell’amore eterno. I miei amici pensano che stia perdendo tempo, che dovrei vivere la prima storia, quando arriverà, senza aspettarmi troppo, vada come vada. A loro, io ribatto che il mio primo bacio e le mie prime esperienze d’amore devono essere tra le braccia della persona che amerò per sempre. Ma poi mi chiedo se non sono davvero una stupida, un’ingenua di 18 anni, circondata da persone che hanno fatto tante più esperienze di lei. Secondo te esiste l’amore eterno? E io perdo tempo ad aspettarlo?Cristiana, Catania
Scusami Cristiana, ma perché dovresti fare quello che dicono i tuoi amici? Ma fa’ un po’ come vuoi tu, no? Fa’ quello che ti sembra giusto, quello che ti assomiglia o ti corrisponde di più, quello di cui non ti vergognerai o anche quello che ti stuzzica, se ti stuzzica. Perché no?
Per quanto riguarda la faccenda dell’amore eterno, sì, esiste, eccome se esiste.
Quello che ti fa star sveglio di notte, quello che non ti lascia spazio per pensare ad altro, quello che ti fa superare qualsiasi difficoltà, quello per il quale daresti volentieri la vita, quello che ti fa piangere, quello che ti tiene in vita anche quando te ne vorresti proprio andare, quello che conferisce un senso potente a questa povera esistenza altrimenti inutile, quello che prescinde dal piacere, quello che si soddisfa anche di sofferenza, quello che si autoalimenta nella propria stessa definizione.
Questo è l’amore eterno. Quello per i figli.
Se non capite nulla di storia e non riuscite a ragionare dedicatevi alla matematica
Cara Mina,per tanti anni il mio migliore amico è stato un ragazzo ebreo. A parte il fatto che non veniva all’oratorio con me, la cosa mi era del tutto indifferente. Ti confesso che sono cresciuto nella più totale ignoranza della storia ebraica e della situazione di Israele: quando sentivo parlare di Palestina, tutt’al più pensavo alle lezioni di catechismo sulla vita di Gesù. Era il mio migliore amico, ti dicevo. Perché quando ho iniziato lo scientifico - frequento il terzo anno - mi sono trovato in un giro di ragazzi che indossano la kefiah e parlano spesso del problema dei palestinesi. Una sera siamo usciti tutti insieme e lui, più tardi, mi ha detto che si era sentito in imbarazzo, che gli dispiaceva perdere la mia amicizia ma non gli andava di frequentare persone che lo consideravano male. Quando ne ho parlato ai miei compagni di classe, con mia grande sorpresa, mi hanno detto che aveva ragione lui, che era meglio se non lo frequentavo più “perché gli ebrei stanno meglio tra di loro”. E giù a spiegarmi che gli ebrei hanno sempre messo i soldi al primo posto, che sono intolleranti e via dicendo. Non so più cosa pensare. Mi fa rabbia lui, che se davvero teneva alla mia amicizia avrebbe dovuto provare a integrarsi con gli altri del gruppo. Mi fanno rabbia loro, tanto bravi a parlare di cose che secondo me neanche capiscono.Gianluca, Roma
Sembra che i sessant’anni trascorsi dal tempo nefasto dei lager siano passati invano.
Quando capiremo tutti, e i giovani per primi, che non esistono gli uomini classificati secondo le categorie, ma le singole, personali individualità, avremo fatto fare un grande passo avanti nella civiltà.
La vicenda che mi racconti sembrerebbe la deludente conclusione di un processo di civilizzazione reso impossibile e mortificato persino da diciottenni. Pure lontani dalla paura delle armi e dalla faccia del nemico, nei banchi di un liceo, non riuscite a godere della libertà di amare chi ha un’idea diversa. Invece di camuffarvi da indiani e cowboy, studiate la matematica, che più della legge e della storia assegna a chiunque sempre lo stesso risultato esatto.
Sincerità non vuol dire maleducazione
Cara Mina,complimenti. Mi piace il tuo modo schietto di rispondere alle lettere. È lo stesso atteggiamento che adotto io quando le persone mi chiedono consigli. Sono onesta, e questo mi procura più “vaff...” che “grazie”. Io però continuo per la mia strada. Tante volte, sui giornali, leggi la lettera della signora che tradisce il marito e la risposta che le dice “guardati dentro, capisci te stessa”. Non pensi sia ora di finirla con il buonismo imperante?Elisa
Il buonismo è l’altra faccia dell’indifferenza. È un modo per non esporsi e soprattutto per evitare di andare al centro delle questioni.
Per questo mi verrebbe da chiedere: ma c’è un altro modo di essere se non quello contrassegnato dalla schiettezza? Con alcune precisazioni, però. Dire sempre e comunque quello che si pensa, con la veemenza delle proprie idee spiettellate in faccia, è spesso segno di maleducazione. Soprattutto quando non ci viene chiesto il nostro parere.
Ma quando si è costretti ad uscire dal silenzio i giri di parole possono nascondere freddezza, lontananza, disinteresse. O si tace o si parla. E il parlare è sempre un “sì, se è sì e no se è no”.
Anch’io ho qualche crisi d’identità. Quando succede mi guardo allo specchio
Cara Mina,cosa succede alla gente? Com’è possibile che a una persona eccezionale come te si chieda come comportarsi con i suoceri? Io adoro te, la tua voce, la tua musica, e se potessi scrivere alla grande Mina le chiederei di permettere a noi giovani di sentirla cantare dal vivo, in carne e ossa. Ma sei davvero Mina? O è solo una grande bufala?Sabrina ‘70
Ogni tanto ho qualche piccola crisi di identità. Niente di grave. Roba da poco, per carità. Per tranquillizzarti ti dirò che fino a stamattina, guardandomi allo specchio, mi riconoscevo ancora, con la stessa faccia che da sempre mi porto addosso. E per il momento mi pare che ancora non sia cambiato. Per domani, si vedrà.
E per quanto riguarda le lettere che ricevo, che dire? Sono lo specchio della realtà. Cosa succede alla gente, dici. Non saprei. La gente ha tanti problemi e tanta voglia di leggerezza.