27.12.2003

Vanity Fair n. 2003

Ricordando “la signorina” il prototipo più puro di chi vuole insegnare

Cara Mina,sono insegnante di italiano in una scuola media. Se penso ai sogni che avevo quando ho intrapreso questa professione, provo tanta amarezza. I ragazzi non rispettano me, non rispettano la passione che metto nel lavoro, non rispettano l’amore per i romanzi e la poesia che cerco di trasmettere. Ho sempre cercato di essere amica, disponibile, e invece sempre più mi trovo a urlare e fare scenate perché loro, francamente, mi rendono la vita impossibile con la loro mancanza di disciplina, gli scherzi, il disinteresse totale. Non era così che volevo diventare e, quando mi sveglio la mattina, mi prende il magone. Non parliamo dei genitori, poi: tutti pronti a giudicare, a criticarci se i ragazzi non studiano, ad aggredirci se proviamo a fare i severi. Ci fosse qualcuno, però, che incoraggia i figli a prendere in mano un libro.Siamo quasi coetanee, Mina. Te li ricordi i tuoi insegnanti? Io, i miei, sì. Erano pagati ancora meno di me, ma almeno vivevano in un Paese e una società che credevano al loro valore. Eppure, se ci penso, sento che questo non mi giustifica. Mi chiedo se sbaglio qualcosa, se sono alla loro altezza. Se il mio lavoro serve ancora a qualcuno.Giovanna, Perugia

Mi dispiace, cara Giovanna. Ogni delusione provata da chi, con buona volontà e passione, cerca di raggiungere il proprio scopo mi rattrista. Ma il nostro tempo è un po’ troppo pieno di queste delusioni per non meritare di più del semplice senso di amarezza. L’ambito della educazione e della formazione impone la ricerca di nuovi schemi. Il tipo di studenti cui oggi è destinata l’opera di un insegnante è assolutamente diverso da quello di venti o quarant’anni fa. E non dico peggiore o migliore, ma semplicemente diverso. Allora diventa anacronistico immaginare che la “vis educativa” di una professoressa con il tuo trasporto e le tue intenzioni sia sufficiente a completare il processo di acculturazione di una scolaresca di una scuola media. Bisogna ricombinare i ruoli di insegnanti, studenti e famiglie. Occorre individuare nuove forme, percorsi diversi, senza rinunciare alla precisione dei contenuti. Lo si deve fare, soprattutto se si considera che i dodicenni di oggi vivono di immagini, sono circondati da concetti frammentati e sintetici. Ricorrere alle tecnologie multimediali, ad esempio, non significa cedere alle mode, a condizione che le forme nuove siano sempre riempite di contenuti forti. Mi chiedi se ricordo qualcuno dei miei professori. Come no! Con grande piacere ti riporto un pensiero, che ho già pubblicato, sulla mia professoressa di lettere, che vuol essere anche un commosso omaggio a chi sapeva come si doveva fare. “La professoressa Antonioli entrava in classe con quella sua aria da martire consapevole di chissacosa e chissachi. Aveva un eterno tailleur di buon taglio, ma un pochino fané, aveva un piccolo sorriso come di chi spera di essere capito e apprezzato per quel poco o tanto che ritiene, a buon merito, di poter garantire. Avevo un debole per lei prima ancora che come insegnante, proprio come essere umano che sentivo in controllata difficoltà. Insegnava lettere a una classe di ventiquattro fervorose ragazze che erano già un vero e proprio campionario di caratteri e comportamenti che poi avrei sempre, purtroppo, continuato a vedermi rappresentati davanti agli occhi. Lei volava. Sembrava nascostamente riferirsi sempre ad un amore perso o lontano. E conferiva alla lettura dei testi un senso di turbamento che passava direttamente nella nostra inesplorata sfera sentimentale. Me la ricordo così bene. Cara signorina, sì, solo lei era “la signorina”. Tutti gli altri erano professori. Solo per lei usavamo questo appellativo come gratificazione nei confronti di chi, invece, era in tutto e per tutto il prototipo più puro di chi dovrebbe insegnare”.

Mi sorge un dubbio: che cosa fa una vergine nel letto di un uomo?

Cara Mina,mi vengono in mente le parole di “Anche un uomo” quando penso a questo uomo che ha 22 anni più dei miei, che con un’irresistibile disinvoltura si alterna tra me e “una persona con cui vive” (come l’ha definita lui) e probabilmente non sa decidere qual è la posizione più conveniente. Io sono un’anima inquieta e vado oltre una banale gelosia. Per me l’emozione di una notte anche solo a dormire sul suo petto è da vivere senza riserve. Il particolare più eccentrico della vicenda è che sono vergine, perché finora ho aspettato il famoso principe azzurro (inquieto come me, ma sempre azzurro), invece ecco che mi infilo nel letto di un padre di due figli in una stanza d’albergo, rispettata, coccolata ma sempre clandestina. E mi colpisce il fatto di vivere tutto questo con naturalezza ed entusiasmo.Si può amare senza esclusività, oppure è solo un’ebbrezza carnale la mia?Finora non sono mai stata legata a nessuno per più di un mese, né innamorata, perché non ho mai trovato uno stimolo permanente, una necessità urgente di partire alla scoperta di un pianeta umano: tutto mi sembrava troppo scontato. Due fidanzatini il primo mese si guardano negli occhi, si tengono per mano, poi iniziano cene il sabato sera, week end al mare, regali, bisticci ... per me è un po’ poco. Ossia, riesco a bruciare tutte queste tappe in un mese, poi l’esplorazione finisce.Voglio un uomo “grande grande”, che sia un imperativo per me e mi dia il coraggio di suonare ogni corda fino in fondo. La banalità è un grande peccato quando diventa grigiore, codardia, rifiuto verso la vita. Pensi che io pretenda troppo? Che non abbia il senso della realtà?Un bacione dai miei ventiquattro anni pasticcioni e romantici.Serena

Mi sembra che tu pretenda il minimo. E che tu abbia per le mani il minimo, purtroppo. Tu hai il diritto di avere un uomo tutto per te, solo per te. Succede ogni secondo che ci si innamori di una persona diversa dalla moglie, dalla madre dei propri figli, ma dopo un ragionevole periodo di tempo per capire, nel rispetto di tutti, bisogna scegliere. Se lui non è in grado di farlo, se non ha la forza o non ha la volontà, fallo tu. E cioè lìberatene. E poi, scusa, c’è qualcosa che non mi quadra. Com’è? Ti infili nel letto di un padre di due figli in una stanza d’albergo e sei vergine? Che cosa fate, gli insegni il punto croce?

Sono d’accordo: siamo tutti terroni

Cara Mina,sono nato e cresciuto a Milano e Bossi non me ne voglia se non ne sono orgoglioso. Spacciamo questa città per “capitale morale” del Paese, ci sentiamo tutti (anche quelli che non lo confessano) superiori ai meridionali che, si sa, sono rumorosi, invadenti, meno “civili”.Ma dov’è, mi chiedo, la nostra civiltà? Sui marciapiedi pieni di escrementi di cani, forse (i vigili sono bravissimi a multare le auto, ma col cavolo che si azzardano ad affrontare le persone). O nei parchi: rarissimi, spelacchiati, pieni di cartacce. O nelle strade dove le auto sono parcheggiate in doppia fila. O sugli autobus dove la gente musona ti insulta se per sbaglio pesti un piede. O nelle farmacie dove nessuno si sogna di fare la fila.A me sembra che siamo tutti italianamente “terroni”, da Sondrio in giù. E i politici della Lega che si affannano a cercare ridicole radici celtiche, con le loro scenate da pescivendoli, sono i più terroni di tutti.Federico ‘63

È vero. Siamo tutti terroni. È la nostra natura. Non l’abbiamo nel DNA la capacità di rispettare le file, di parcheggiare le macchine solo nei posti consentiti, di rispettare i parchi e le strade. Quello che, invece, ci caratterizza è il mettere in pratica il volgare “lei non sa chi sono io” in una serie di arroganze quotidiane, che sono il piedistallo su cui elevare la nostra meschinità. Ma se fosse solo questo, non sarebbe neanche gravissimo. È quell’arietta di “adesso te lo metto nel culo”, con l’espressione di un’amicizia che non esiste, dato che siamo pronti a tagliare la gola per il nostro tornaconto, che mi strema e mi fa sorridere. Ma tant’è. Siamo tutti poeti, artisti, santi e navigatori. Siamo dei genî. Viva l’Italia.

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