18.12.2003
Vanity Fair n. 2003
Il lettore autodidatta può scegliere Sartre o affidarsi a Borges
Cara Mina,non ho ancora un lavoro, quindi mi dedico al volontariato, impartendo lezioni agli extracomunitari che abitano nella mia città. Un’attività che mi gratifica, ma non mi aiuta in termini di disponibilità economica. E così, a 27 anni, non posso comprare tutti i libri che vorrei. La lettura è la mia passione. Solo che mi sono trovata bene solo con i romanzi italiani dell’Ottocento e del Novecento: ultimamente ho riletto I promessi sposi. Non sono mai riuscita a giungere alla fine di un’opera contemporanea, forse perché non ho mai scelto il titolo giusto, che mi emozioni e mi faccia sognare. Tu che sei un’avida lettrice, non avresti un libro o un autore da consigliarmi?Rosa, BisceglieP.S.: Posso mandarti un bacio?
È strano che tu abbia individuato me come possibile consigliera in cotale e cotanto argomento. Accetto comunque la falsa lusinga. Ho un profondo rispetto per la scrittura e gli scrittori, per la lettura e i lettori. Accetto la sfida di arrischiare una risposta, quasi immaginando di darla a me stessa. Anch’io mi trovo a spazientirmi tra biblioteche in disordine e lustri che fanno cambiare i gusti.
Non mi permetterei mai di suggerirti un riferimento unico nel campo della letteratura. Ti toglierei il fascino del navigare in un mare pressoché infinito di scoperte e di emozioni.
Non so. Potresti mettere in pratica il procedimento che ha usato Sartre per un suo personaggio, avido come te di lettura, ne “La nausea”.
“L’Autodidatta si è diretto verso gli scaffali con passo vivace; ne riporta due volumi e li posa sulla tavola, ha l’aria di un cane che ha trovato un osso. (...) Sono “La torba e le torbiere”, di Larbalétrier, e “Hitopadèsa o l’Istruzione utile”, di Lastex. (...) Dallo stesso scaffale ha preso un altro volume, ne decifro il titolo a rovescio: “La Freccia di Caudebec”, cronaca normanna, della signorina Julie Lavergne. Le letture dell’Autodidatta mi sconcertano sempre.
D’un tratto mi tornano in mente i nomi degli autori delle opere ch’egli ha consultato ultimamente: Lambert, Langlois, Larbalétrier, Lastex, Lavergne. È un lampo: ho compreso il metodo dell’Autodidatta: egli si istruisce per ordine alfabetico.
Lo contemplo con una specie d’ammirazione. Quale volontà gli è necessaria per realizzare lentamente, ostinatamente, un piano di così vasta portata? Un giorno, sette anni fa (m’ha detto che studia da sette anni), egli è entrato pomposamente in questa sala. Ha percorso con lo sguardo gli innumerevoli volumi che tappezzano le pareti, e avrà detto press’a poco come Rastignac: “Scienza umana, a noi due!”. Poi è andato a prendere il primo libro del primo scaffale all’estrema destra e lo ha aperto alla prima pagina, con un sentimento di rispetto e di terrore unito ad una decisione incrollabile. E oggi è alla lettera L. K dopo J, L dopo K. È passato brutalmente dallo studio dei coleotteri a quello della teoria dei quanti, da un’opera sul Tamerlano ad un libello cattolico contro il darwinismo; senza mai un momento di dubbio. Ha letto tutto; ha immagazzinato nella sua testa la metà di quanto si conosce sulla partenogenesi, la metà degli argomenti contro la vivisezione. Dietro di lui e davanti a lui c’è un universo. E s’avvicina il giorno in cui egli, chiudendo l’ultimo volume dell’ultimo scaffale d’estrema sinistra, dirà: “E adesso?”.”
Altro suggerimento esclusivamente metodologico: un enorme uomo di cultura del ‘900 ti può fare da guida. Borges. Ti fai prendere per mano da lui, leggendo suoi saggi e sue poesie. Seguendo il suo percorso, fatto di ramificazioni, di rimandi e di deviazioni subentranti, potrai avvicinarti, seguendo le sue citazioni, alla letteratura di tutti i continenti e di tutti i tempi.
Così la tua fedeltà ad Alessandro Manzoni potrà, dovrà vacillare.
Non è il “nuovo” che ti spaventa: è la tua vita
Cara Mina,ho 20 anni e a volte mi sembra di averne 40, odio e amo la vita, sono insicura eppure amo le sfide, ma soprattutto ho paura. In pratica sono la contraddizione fatta persona. In questo momento sono in crisi: ho iniziato l’università e per frequentarla devo risiedere a Pavia per tre giorni a settimana. Fare la pendolare sarebbe troppo faticoso, cosi mia madre mi ha messo a dormire in un collegio femminile gestito da suore. Soffro tantissimo il distacco da casa, nonostante in università mi trovi bene e sia anche riuscita a trovare delle amiche. Ho scelto Pavia perchè è una città più vivibile rispetto a Milano, l’unica altra città vicina dove c’è la facoltà che ho scelto: scienze politiche. Ma mi sento sola e a volte mi chiedo se non avrei fatto meglio a scegliere un corso di quelli disponibili a Brescia o Verona, città che a noi mantovani permettono di fare avanti e indietro ogni giorno, e dove studiano tutti i miei amici, che sono rimasti a casa. So che questo mio discorso può sembrare infantile, ma sto vivendo tutto troppo male, forse perché il cambiamento è stato troppo improvviso. Esiste un modo per sconfiggere la paura del nuovo?Alice, Mantova
Si può scegliere di essere degli eterni Peter Pan. È così bello, in fondo, rigirarsi nelle proprie copertine infantili, magari rimboccate dalla mamma. È rassicurante percorrere sempre la stessa strada, fermarsi alla stessa edicola, allo stesso bar e vedere sempre le stesse facce, che ripetono sempre le stesse frasi.
Lo si può fare. Ma quando uno ha già raggiunto ciò che ha voluto costruire nella sua vita. A 20 anni si individua una strada per il proprio futuro, per realizzare il proprio compito. Così è capitato anche a te. La facoltà che hai scelto, il cambiamento di città, non è un “nuovo” che spaventa. È la tua vita, è la circostanza attuale che ti trovi a dover vivere.
La paura è una condizione psicologica, quindi soggettiva e momentanea. La nuova città, le lezioni che dovrai frequentare, lo studio, i compagni di corso sono reali. E non certamente spaventosi. Prendili come un dato di fatto, come una parte di te, del tuo presente e del tuo futuro.
Ben venga la guerra d’indipendenza contro le cognate
Cara Mina,ho 22 anni e sono fidanzata con un coetaneo fantastico, generoso, che mi ama e che ha intrapreso la carriera militare. E ora quel momento è arrivato: ci sposeremo il 15 maggio. Purtroppo c’è un grosso problema: la sua famiglia. Da quando stiamo insieme ho a che fare con tre “suocere”: quella vera e le sorelle, più grandi di lui. Lo hanno sempre protetto dalla cruda realtà, continuano a considerarlo “il loro bambino” e pretendono di dirmi quello che devo o non devo dirgli quando lui per lavoro si trova lontano.L’atteggiamento non mi piaceva. Ma speravo che con il passare degli anni lo avrebbero lasciato libero di vivere la sua vita. Nonostante la decisione di sposarci, nulla è cambiato. Io ho cercato in tutti i modi di inserirmi nella loro famiglia. Un anno fa mi sono trasferita da una delle sorelle che attraversava un periodo di difficoltà. Le ho cresciuto uno dei figli con amore, come se fosse stato mio. Per tutta ricompensa, mi sono sentita dire che la loro è una “cerchia ristretta” della quale io non potrò mai far parte.Di loro mi importa ben poco. La mia paura è che questa situazione possa compromettere il prossimo matrimonio con il mio ragazzo. Che si rende conto dei loro errori, ma che si trova fra due fuochi. Non so cosa fare per evitare che questo accada.Elisa, Lecce
Ti sposerai col tuo bel militare. Ma solo con lui. Le sorelle sono solo un contorno.
Trovatevi una casa a 200 km di distanza dalle tue future cognate. E soprattutto fomenta la bellicosità che, magari sotto sotto, cova nell’animo del tuo militare. Le armi, quelle no, meglio lasciarle perdere. Ma tutto il resto, dalla ringhiosità (come forma di difesa) alla battaglia verbale (come modo per ottenere l’autonomia), lo si può usare.
Per la propria indipendenza le guerre si possono ancora fare. Le fecero i piemontesi 150 anni fa. Continuate la tradizione. Spostando l’obiettivo, dagli austriaci alle cognate. Con auguri di ugual fortuna.