Cara Mina,
sono la mamma di Francesca, una ragazzina di undici anni che frequenta (con ottimi risultati) la prima media, è sportiva ed è piena di amici. Ma da quando ha visto Leonardo Di Caprio in “Titanic” le sue abitudini sono cambiate. Quel film l’ha visto cinque volte e “La maschera di ferro” due volte. La sua camera è tappezzata di foto e poster. Si è costruita un raccoglitore dove conserva altro materiale sul suo idolo. Come pigiama usa una magliettona con l’immagine di Leonardo, e non ti dico con quale fretta bisogna lavargliela perché la possa subito riutilizzare. Tu che conosci bene questi fenomeni di “fanatismo”, che cosa ne pensi?
Rita Z., Roma
Cara Rita,
quando sono così totali, così planetari, non sono più neppure fenomeni indotti, secondo me. È come quando c’è troppo caldo e tu te lo devi togliere il maglione. È come se una manina ti tirasse inesorabilmente in un gorgo. Avvengono con un clic, come per un interruttore di corrente: prima non c’era e di colpo eccola lì, la “Di Caprio-mania”.
Lascia che sogni, la tua Francesca. Beata lei che esprime alla sua maniera il bisogno di tutti: sognare. Non possiamo accontentarci del male, della paura. Non possiamo rassegnarci all’idea che il mondo sia fatto solo di banditi, di assassini, di terremoti, di malattie o di oscillazioni della Borsa. Ben venga Leonardo che incarna, con la sua bellezza tangibile, il bisogno della felicità che è la sostanza più vera dell’anima di ogni uomo. E ognuno di noi la può trovare in un fatto, in un’esperienza, in una persona o anche, perché no, in un attore da adorare. Leonardo è la prova vivente che siamo fatti per l’armonia e per l’amore. E anche tua figlia, cara Rita, nella meraviglia dei suoi undici anni, non sfugge a questa logica, che è la stessa che ha mosso tutti i grandi poeti a esplorare l’orizzonte del cuore umano che cerca l’amore, quindi la felicità.
Nessuno considera fanciullesca l’emozione che tutti provano quando si accostano ad assaporare seriamente le parole che Petrarca rivolgeva a Laura. Verrebbe addirittura considerato incolto chi non si emozionasse di fronte a una statua di Michelangelo o a un quadro di Caravaggio, o chi, ascoltando Puccini, non si rendesse conto di essere di fronte alla pienezza e alla limpidezza della grande arte.
In Di Caprio c’è qualcosa di assolutamente rispettabile che arriva come una fucilata diritto al cuore della gioventù di tutto il mondo. Di Caprio è un’opera d’arte senza autore. Ho letto recentemente che Gabriel Byrne, che recita con Leonardo ne “La maschera di ferro”, ha dichiarato: “Di Caprio per qualche motivo ha toccato un nervo scoperto dell’inconscio collettivo”. E questo è vero, sia per quanto riguarda la sua bellezza efebica, la sua grazia apollinea, sia per il genere cinematografico che lo vede incontrastato protagonista. Perché dovremmo scandalizzarci delle frotte di ragazze, ma anche di signore attempate e di virili omaccioni che, in ogni angolo del pianeta, si estraniano dalla realtà per calarsi idealmente nei panni di Rose o di Giulietta? In fondo chi paga il biglietto è proprio questo che vuole: immedesimarsi in un grande gioco di immaginazione e di fantasia. E in questo caso, la tecnica e la bellezza dei protagonisti non fanno altro che accentuare l’effetto di trascinamento nel vortice di eros e thanatos. Toccati nel vivo del proprio cuore si ama in massa un oggetto comune, con un amore unico e strano perché non corrisposto e senza gelosia.
Ah, dimenticavo: io non ho visto “Titanic”. Farò come Martin Scorsese. Aspetterò e vedrò la cassetta. Forse.