Sarà interessante sentirlo parlare di Mina; con la quale credo abbia avuto proprio il tipo di rapporto che con lei avrebbero voluto avere i suoi fans più sfegatati e che molti altri suoi colleghi non sono riusciti ad avere. Scopriremo probabilmente i perché di questo rapporto così speciale. Scopriremo di cosa è fatto. Eccolo, Gigi Vesigna, appassionato di cinema fin da piccolo fin nel midollo, e fin da piccolo con l’idea che da grande avrebbe fatto il giornalista. Diventato giornalista, forse aspirando alla critica cinematografica, approda alle cronache dello spettacolo, entra nel mondo della musica leggera, un mondo in fermento. La grande avventura del rock avvolge l’epoca e arriva anche in Italia a vele spiegate ed entra in curiose sinergie con la tradizione melodica italiana. In quei ragazzi protagonisti di questa avventura, si leggono i prodromi di una rinascita e di una rivoluzione, anche se solo in ambito musicale. È una rivoluzione che si attua e appare come un grande gioco ma corre a un ritmo così frenetico da trasformarsi a velocità sorprendente in costume. Gigi Vesigna, giovanotto degli Anni 50, è lì, nell’occhio di quel ciclone, tra venti che si chiamano “urlatori”, “rock”, sballottato tra curiose trasgressioni musicali. E cavalca quell’onda, ne appoggia e protegge i surfisti. Arriva Mina, urla, si dimena, poi, sorpresa, addirittura illanguidisce. Ecco che non si potrà più cantare come prima. Gigi Vesigna lo sa bene, da subito.
Lele Cerri – Signor Vesigna, lei è stato un minista della prima ora.
Gigi Vesigna – Assolutamente sì. E me ne vanto molto, anche.
L.C. – E quindi è un testimone prezioso. Come apparve, Mina, “negli italici cieli della canzone” ancora così cuore e amore cantati con la mano sul petto? Come la vide arrivare? Come fu il suo avvistamento?
G.V. – Com’ è arrivata? Può immaginare un meteorite che ti piomba ridendo in sala da pranzo? La prima volta che vidi Mina, fu da spettatore. Ero con mia moglie, eravamo fidanzati. Eravamo tra il pubblico della Sei Giorni della Canzone allo Smeraldo. A un tratto eccola lì, in palcoscenico, come un fatto fino allora sconosciuto, qualcosa che se non fosse apparsa non avresti potuto immaginarla. La configurazione fisica di una grande energia, di un fatto a sé, della promessa di una serie di cose incredibili che da lì in poi sarebbero successe. Fu entusiasmante già quella prima sera, dal primo istante, al di là di come cantasse; e cantava in maniera a dir poco choccante, sorprendente, nuova. Fenomenale. Un “fenomeno” alla latina. Simpatica. Il suo è stato un arrivo imprevedibile.
L.C. – La conobbe quella sera?
G.V. – No, fu però poco tempo dopo, in un seminterrato di Viale Papiniano che era la sede della sua casa discografica di allora: la Italdisc. Io nel frattempo ero diventato giornalista. Fu lì che facemmo la nostra prima chiacchierata, sciolta, divertente.
L.C. – Così, di primo acchito, al volo? Un record.
G.V. – Nooo! Io scesi dai gradini e incontrai questa bella “ragazzona” che sulle prime se ne rimase abbastanza, direi,“in guardia”. Ma poco dopo abbiamo cominciato a ridere, anche di niente, anche solo prendendo in giro quello che stavamo dicendoci. Devo dire che non entrammo granché nel merito di quello che faceva e tantomeno di quello che avrebbe voluto fare. Non parlammo dei suoi progetti. E credo che lei non ne avesse proprio. Parlavamo un po’ di tutto, come poteva succedere tra un venticinquenne e una dicannovenne molto acuta, ridendo. Anche dopo, con Mina, tutte le volte che ci siamo visti, abbiamo sempre riso. Siamo stati assieme a Madrid due volte, per lavoro, a distanza di anni, e ogni volta abbiamo riso come in gita scolastica. Mina è una persona assolutamente spiritosa, ironica, che ama il buonumore, e non ama la seriosità. Credo proprio per una forma di rispetto nei confronti delle cose veramente serie. Ama alleggerire. Sì, Mina è capace di prendere sempre tutto da un’angolazione ironica.
L.C. – Ha un buon DNA dalla sua. Anche il signor Mazzini, quanto a ironia.…
G.V. – Ah sì… che squadra incredibile già da soli! E poi fecero coalizione anche con Gigante, Bernardini. Era un bel gruppo, di persone eccezionali; non ce n’è più, così, non c’è proprio più la tipologia di quelle persone lì.
L.C – Lei nasce giornalista sulle rive di navigli scossi dall’uragano “Rock”. Ha dato anima e cuore alla cronaca musicale. Era la destinazione cui realmente aspirava?
G.V. – La mia passione vera è sempre stato il Cinema. Un sogno della mia vita l’ho realizzato nella prima metà degli Anni 80, quando ho fatto “Ciack”, una rivista di cinema. Io sono però nato con la musica e la televisione, che erano un genere in progresso e un mezzo tutto da scoprire e da sfruttare… avevano tutt’ e due molto di nuovo da dire. E poi erano qui, si facevano a Milano. Quindi, noi che vivevamo ed operavamo qua, avevamo vantaggi, ovvero una grossa possibilità di contatti.
L.C. – Figlio di un industriale e di un’insegnante. Un figlio giornalista. Bene. Ma proprio nelle cronache dello spettacolo! Un po’ preoccupante, a quei tempi. Come la presero in casa? I suoi erano borghesi conservatori o emancipati?
G.V. – Sicuramente emancipati. Innanzitutto mio padre non nasce borghese né industriale ma li diventa dopo essere arrivato, ragazzo, a Milano negli Anni Venti. Come operaio. Poi si costruisce pian piano una sua attività, inventa cose nel campo delle apparecchiature elettriche, e mette su una sua fabbrica. Mia madre, poi! Da ragazza arriva a Milano da Andria, nelle Puglie, assieme alla mamma di Walter Chiari, sua amica e compaesana - (difatti io sono proprio cresciuto con Walter, suo fratello Benito e sua sorella Ada) - …quindi, già per decidersi ad affrontare la vita così lontano da casa, emancipata lo era di certo anche lei. No, no… anche se mio padre avrebbe voluto che io entrassi nella sua azienda e continuassi il suo lavoro, ebbe gran rispetto per le mie scelte. Fin da quando mi accompagnava in motocicletta al Parini, al liceo. No, nessun problema. Tutti contenti.
L.C. – Lei ci può risolvere un contenzioso. C’è chi dice che la prima apparizione di Mina in TV fu a “Lascia o raddoppia?”, c’è chi dice a “Il Musichiere”.
G.V. – (ride) Al “Musichiere” non me la ricordo. Me la ricordo bene a “Lascia o raddoppia?”… un’uscita decisamente fuori dagli schemi… E mi ricordo che Mike, che ha un fiuto incredibile, ci andò a nozze.. capì subito che c’era il personaggio…
L.C. – Ho rivisto uno spezzone… Bongiorno fu un po’ spigoloso, con lei… direi pungente, provocatorio..
G.V. – È il suo approccio, fa sempre così… quando intravede l’elemento… Quando intravede un interlocutore che gli possa tener testa, spinge sul pedale.
L.C. – E dopo?
G.V. – Il nostro secondo incontro è stato al Festival di Sanremo nel ’61. Che fu il suo secondo Festival e il mio primo in assoluto. Lì la frequentazione fu già più assidua perché lei era il grande personaggio del Festival e tutti le stavamo molto addosso.
L.C. – Chiamo di nuovo in causa il testimone che lei è stato. Quell’anno, Mina, grande favorita, già da prima che il Festival cominciasse si vide scatenare contro una campagna stampa a dir poco ostile, una vera contraerea. Crede che fu perché stava per presentarsi come una star?
G.V. - Ma lei “era” la star; già da tempo, ormai. Il fatto fu che faceva ancora più notizia una “Mina sconfitta” che una Mina vincitrice, quindi crearono i presupposti, gli elementi di contrasto… di una debacle.
L.C. – Ricordo un articolo di Montanelli in cui la prendeva a dir poco di punta - anche lui – responsabilizzandola e strattonandola, punzecchiandola, pur dicendo che era l’unica presenza per la quale quell’anno guardava il Festival… E un altro di Oriana Fallaci, che la chiamava “La sirena dei vent’anni” . Ma tutt’e due ne tracciano un ritratto che va molto più a fondo delle doti vocali…. Siamo nel costume…
G.V. – Il fatto che giornalisti del calibro di Montanelli e della Fallaci accendessero delle diatribe su di lei, rende evidente a che livello di considerazione fosse già Mina… Ma poi c’era in ballo un’operazione che riguardava la seconda canzone che Mina cantava al Festival – dopo “Le mille bolle blu” – e che si intitolava “Io amo tu ami”, . legata a un film di De Laurentis dallo stesso titolo, “Io amo tu ami”, appunto. Anche quell’operazione diede molto fastidio, perché, vittoria col Festival, consacrazione col film, Mina sarebbe diventata una star troppo ingombrante.
L.C. – Un’improvvisa mancanza di spazio?
G.V. – In quel momento stavano crescendo altre persone alle quali c’era da fare posto. E lei già allora avrebbe fatto tabula rasa. Mina era un pericolo troppo grosso. Avrebbe fatto piazza pulita di tutti. Non glielo potevano consentire. Era la più forte. E non faccio torto a nessuno, dicendolo, perché proprio i suoi colleghi erano i primi a essere d’accordo su questo.
L.C. – Il tutto, però, in un clima da parte della stampa…
G.V. – …..Di ostilità. Sì, c’era ostilità nei confronti di Mina. Venne scientificamente smantellata. C’era premeditazione. Lei accusò la cosa, ne fu molto amareggiata. E si irrigidì molto. Le risultava incomprensibile che così, di colpo, le si rivoltassero tutti contro. Del resto, non è finita, è un fenomeno che si ripete, succede ancora che ci si coalizzi per parlare del Festival in un certo modo, prestabilito.
L.C. - Mina urlatrice reginetta del juke-box, poi Mina icona superstar del “Sabato Sera” televisivo, e Mina cantante mito….
G.V. – Mina è sempre stata mitica. Anche “da piccola”, come chiama lei i suoi esordi. Mi dispiace per i più giovani che non l’hanno potuta vedere e sentire dal vivo, che non hanno vissuto quella possibilità. Comunque, Mina, anche fuori dalle scene è sempre rimasta una cantante in continua evoluzione. L’ultima è sotto gli occhi, negli orecchi, più che altro, di tutti.
L.C. – Trova che la storia di Mina sia completa?
G.V. – Purtroppo non è voluta andare in America.
L.C. – Lei sarebbe stato favorevole all’avventura americana?
G.V. – Assolutamente favorevole. Perché Mina era l’unica cantante italiana, allora come adesso, ad avere tutti i mezzi - ma proprio tutti - per poterla affrontare. Diciamo tranquillamente le cose. Là, recentemente, alcune nostre cantanti hanno avuto il successo che hanno avuto. Si può immaginare cosa si sarebbe scatenato per Mina…
L.C. – E il rischio di ritrovarsi - in una avventura a metà - all’interno dei canonici circuiti per italo-americani, di tutto rispetto, ma un po’ un limite?… tutto sommato ancora davanti a un pubblico italiano, anche se all’estero...
G.V. – Credo che Gigante non l’avrebbe mai mandata in altri posti che non fossero i luoghi deputati per un successo veramente internazionale… come la Carnegie Hall o Las Vegas. Sicuramente Mina avrebbe avuto anche in America la collocazione che le competeva, nei grandi circuiti “americani” internazionali. E poi, Mina e la Bussola, in raffinatezza, erano già un bel po’ più avanti di Las Vegas...
L.C. – Grande Bussola… Difatti, anche Mina, come tutti, alla Bussola ci arrivò dopo quasi due anni che cantava, una volta consacrata ben benino…
G.V. – Bernardini era “fidanzato” con la Bussola. Dopo che l’ha venduta non ci è più passato davanti… Credo che allo stesso modo abbia amato Mina…
L.C. - In certe sue schede lei accenna, pare con una certa fierezza, al fatto che l’editore Campi l’assunse dicendole : “mi hanno detto che sei abbastanza figlio di p…. vorrei che lavorassi per me”. Mina, dal canto suo, dice che lei è la “quintessenza della correttezza”. Una grande capacità di conciliare le cose? O quale è, la realtà?
G.V. – Campi per mia fortuna non aveva troppo approfondito la ricerca. Il mio essere “figlio di p…” era riferito al fatto che non mollavo l’osso, che stavo dietro all’artista finché non riuscio ad avvicinarlo, sì… ma sempre nei termini miei.
L.C. – Ovvero?
G.V. – Estremo rispetto per la persona, per il suo lavoro. Ho sempre considerato che ogni volta che avviamo un progetto di lavoro, tutti partiamo per una buona impresa, per un buon risultato… al quale dedichiamo tempi più o meno lunghi di lavoro più o meno faticoso, a volte estenuante. Certo, quello del cantante a volte è molto ben ripagato. Ma quando viene penalizzato, è un massacro. Per questo ho sempre cercato di rispettare cantanti, musicisti, managers, artisti e il loro lavoro. Io ci sono stato dietro al loro lavoro. Sono stato in sala di incisione con Celentano, con Mina, in nottate fino all’alba, so che fatica c’è dietro quel lavoro lì. So cosa vuol dire girare un film e girare una scena e rigirarla e rigirarla per mille motivi anche solamente tecnici… Come fai a dire cose tremende? Questa gente la devi rispettare. Campi non aveva capito che ero figlio di p… in senso positivo, nel senso, cioè, che non mollavo finché non ero riuscito a guadagnarmi l’amicizia e la fiducia delle persone. Mai essere subdoli. Pur considerando che un artista “è di tutti”, e quindi, oltre che con l’esibizione deve arrivare al pubblico anche con altri mezzi, tra i quali i giornali, i giornalisti. E qua si potrebbe cominciare da capo.
L.C. - Solo etica, educazione e deontologia?
G.V. – No. È soprattutto un grande amore per quel tipo di lavoro, quel loro lavoro, perché lo conosco bene.
L.C. – Lei applica con tutti la stessa regola?
G.V. – La applico con tutti fino a prova contraria. Perché se poi uno mi imbroglia, o “ci” imbroglia…. Va da sé...
L.C. – Gigi Vesigna , da gran visir delle classifiche discografiche a inventore del “Telegatto”, nostro Oscar televisivo che premia e mette in ordine i meriti TV. Lei e i suoi compagni d’avventura, ai tempi di quel vostro bagno nel rock, di urli e di dimenamenti che facevano sussultare le zie di fronte alla TV nel salotto buono, vi sentivate di trasgredire?
G.V. – Direi che ci divertivamo da pazzi.
L.C. – E basta?
G.V. – No, molto di più. Ci sentivamo totalmente liberi di scegliere i nostri divertimenti. Era una cosa importantissima, assolutamente nuova, che per le generezioni precedenti non sarebbe stata nemmeno immaginabile. Adesso succedeva. Sceglievamo noi i nostri divertimenti. Ed era qualcosa che noi facevamo quasi inventandola giorno per giorno. E sentivamo che era una grande fortuna, una grande opportunità.
L.C. – Coscienza, consapevolezza d’altro? ..la sensazione che stavate compiendo una rivoluzione musicale, del costume?
G.V. – Era un clima speciale, quello di quegli anni, un clima di grande rinascita, e di rinascita mondiale. E a noi era capitata la fortuna di crescerci dentro, di avere a disposizione, per esprimerci, un’epoca così. E poi, poverini, coi nostri divertimenti partecipavamo anche ad altro. La stessa Sei Giorni della Canzone - che ci regalò Mina, e che prendeva il nome da quel grande appuntamento milanese che era la Sei Giorni Ciclistica del Vigorelli - serviva a raccogliere fondi per finanziare iniziative di solidarietà sociale. Niente in confronto alle barricate dei giovani in Ungheria nel 56, però… Sì, la bellezza di quel momento era il fermento. Una sera che al Palazzo del Ghiaccio c’era un Festival del Rock, ci fu il finimondo. Ricordo che per il trambusto che c’era affidai mia moglie a suo fratello perché la riaccompagnasse a casa, “in salvo”. . Ci stavamo modellando un mondo di tempo libero su misura. Sì, forse avevamo anche il senso della libertà di scelta nel suo significato più vero, che è quello di raggiungere la condizione per poter effettuare anche le scelte più impegnative. Come poteva anche essere, per un giovane cantante, cercare di affermare un nuovo genere musicale.. Credo che più che rimodellare il mondo volessimo crearci una “nicchia” di divertimento. E ascoltavamo Bill Haley, ma anche Lelio Luttazzi, le sue cose soft e ironiche… …o anche surreali, come fu poi la sua “Una zebra a pois”, non dimentichiamo. E poi la gioia di partecipare, il coraggio dell’incoscienza tipico dei giovani, andare allo sbaraglio per amore di qualcosa… nello specifico, nel nostro caso, appunto, la musica.
L.C. – E il cinema suo primo amore?
G.V. – È sempre rimasto il mio grande amore. Gli ho dedicato tante di quelle energie nella adolescenza!… Pensi che appena potevo, da ragazzo, subito dopo la guerra, diciassettenne o poco più, appena riuscivo a mettere insieme due lire, prendevo il treno per Parigi, la sera, la classe più economica, viaggiavo raggomitolato tutta la notte per arrivare al mattino e infilarmi al volo nei primi cinema che aprivano già alle dieci, poi in altri, e di cinemino in cinemino mi guardavo almeno cinque film finché, a notte, riprendevo il treno e tornavo a Milano. Cosa non ho visto! Il cinema francese di quegli anni era meraviglioso.
L.C. – Lei, direttore storico di Sorrisi e Canzoni TV, le copertine e Mina.
G.V. – Un fatto. Innegabile. Premetto che il giornale vendeva moltissimo perché era diventato una specie di “oggetto” che il villaggio globale aveva adottato. Nel genere era diventato come un bene di consumo, come il sapone. Comunque l’impennata si aveva quando c’era in copertina Mina. Anche la Carrà tirava particolarmente. Ma con Mina era più difficile, perché non voleva fare foto… …perció dovevamo uscire con foto, quasi, di repertorio, copertine di dischi, immagini tratte da programmi televisivi. Ciononostante, l’impennata nelle vendite era matematica, puntuale.
L.C. – Mina editorialista. Lei ne sa qualcosa.
G.V. – Per tre anni ho tormentato il Signor Mazzini perché convincesse Mina a scrivere. Lei non voleva nemmeno sentirne parlare. Ma io andai avanti a insistere con suo padre perché la convincesse. Ero certo che sarebbe stato un gran colpo. Sarebbe bastato che si sciogliesse tra le righe come quando ci divertivamo insieme, come quando, molti anni prima, mi aveva parlato in un modo sorprendete del libro che aveva appena letto, che era “La montagna incantata” di Thomas Mann. Allora, ricordo, pensai subito che sicuramente avrebbe scritto come leggeva: con acutezza, profondità, sfumature…
L.C. – E poi c’è riuscito a portarla “su carta”.
G.V. – Sì, finalmente mi disse di sì, per un settimanale nuovo, “Noi”. Poi, quando dopo un anno io lasciai la direzione di “Noi”, perché non potevo dirigere due giornali nello stesso tempo, mi seguì a TV Sorrisi e Canzoni. Scriveva una sorta di dizionario, sentimentale a tratti. Io mi raccomandavo che si lasciasse andare. Era ancora l’epoca in cui voleva scrivere poco di quello che pensava, in cui cercava di dire non dicendo, non voleva fare opinione, si teneva ancora piuttosto criptata. Quando ci sentivamo le dicevo “vai libera, affronta la vita…”. Con tutto quello che mi aveva detto de “La montagna incantata”, ero certo che se l’avesse fatto, avrebbe fatto faville. Ora, invece, si è aperta, ci dà dentro… Ma averla convinta a scrivere, allora, è comunque ancora un mio vanto. In un certo modo ho fatto da apripista.
L.C. – Mina fuori dagli appuntamenti di lavoro?
G.V. – Un esempio, sì. Tendone di Bussoladomani, il concerto del 1978. Serata trionfale, Mina assediata d’affetto. Io naturalmente ero in platea, con mia moglie, e mi guardavo bene dall’ aggiungermi fisicamente all’assedio del dopo concerto. Venne Bernardini a chiamarmi e mi disse “Mina ha chiesto di te, vuole vederti, ha detto perché non vai in camerino…”. Che avesse chiesto di me in quel momento lì, sfinita, col mondo che le si buttava addosso, mi commosse. Provai una sensazione molto forte. E mi fece pensare che mi usava un particolare riguardo. A pensarci, Mina è sempre stata così. Allora, come potevi saltarle addosso in momenti particolari… come facevi a picchettare la clinica Mangiagalli, a perseguitarla perché stava nascendo suo figlio?.. sì, va be’, lavoro… ma sarebbe stato tradirla, tradire il senso di un rapporto amichevole con lei, il suo senso dell’amicizia.
L.C. – Mina oggi.
G.V. – Grazie al cielo lo possiamo vedere tutti cos’è oggi la “grande Mina”, perché non mi sembra certo che lesini… come ha invece fatto in un certo periodo sottraendosi il più possibile. Oltre a produrre dischi, si è mostrata con il filmato “In Studio”, ha curato personalmente le riedizioni dei bellissimi “Caroselli Barilla”, scrive, appunto... I contatti con lei non ci mancano più, come invece succedeva massicciamente un po’ di anni fa. Mi sembra molto attiva… E continua a sorprenderci con i suoi talenti. Guardi anche come editorialista… Mina è brava, potrebbe insegnare a molti... è sensibile, ha buon senso, ha una visione ampissima delle cose…
L.C. – Finti scoop, finti annunci di un suo grande ritorno, di improvvise apparizioni a sorpresa. Ma lei crede che davvero prima o poi Mina tornerà a cantare in pubblico?
G.V. – Personalmente direi di no.. …Anche se Mina mi ha abituato a sorprendermi. Dico di no perché lei ha fatto una scelta di vita che ha saputo mantenere. Evidentemente questa scelta di vita la completa, la riempie, giustifica abbondantemente il fatto che non torni… Anzi, non lo giustifica per niente… Non le fa semplicemente sentire il bisogno di tornare, quanto sarebbe bello tornare. E se permette, ne sono molto felice per lei. Poi, ogni tanto, gioca, si diverte a venirci incontro col DVD. E a me manca, altro che se manca, una serata con Mina!
L.C. – Il DVD. Cosa può averla fatta decidere?
G.V. – (ride) …..Facile che una mattina si sia svegliata e le sia venuto in mente di fare il DVD… Risate a parte, credo che Mina non pianifichi niente. Questo non vuole dire che non le vengano in mente cose… è troppo ricettiva perché non succeda. Intravede sicuramente ogni possibilità di ogni innovazione. Ma ha sentito parlare della sua pigrizia, no? Io credo che Mina non pianifichi niente ma lasci che pianifichi per lei qualcuno di cui si fida moltissimo, che sa cosa lei approverebbe, e lei crede in quella pianificazione, seleziona i progetti e, se le va, sceglie al volo quello che le è più affine. Mina è puro istinto. Energia pura. Una grande energia.
L.C. – Tutti gli altri suoi compagni di viaggio che ho intervistato hanno detto di essere stati più o meno palesemente “innamorati” di Mina. È successo anche a lei?
G.V. – Ma non si poteva “non innamorarsi” di Mina! In un modo o nell’altro, non ci siamo salvati nessuno. C’erano un’infinità di ragioni per le quali “amarla”.
L.C. – Lei ha un motivo personale, oltre al fascino subito collettivamente?
G.V. – Ne avrei avuto uno, importante, dopo molti anni che già la conoscevo, pochi anni fa, quando ho vissuto una prova di estrema difficoltà. Lei fu di un’attenzione e di una premura per le quali si può andare ben oltre l’innamoramento.
L.C. – Vuole dire che lei a Mina vuole molto bene?
G.V. – Sì.
Mina mi disse: "Il più forte è il bassista, il più forte". Eravamo a Viareggio, stavamo ascoltando una cassetta che avevo registrato live qualche sera prima, in un locale jazz di Roma, con un appareccho di fortuna che era poco più che un tostapane. Era il 1978-79. Massimo Moriconi aveva si e no 23 anni. Quel bassista era lui.
Leggi tuttoMina ya me dijo hace unos veinte años que a Gigi Vesigna siempre le correspondería una consideración particular por lo buen compañero de viaje que siempre ha sido; un compañero discreto, reservado y honrado incluso en los momentos más dificiles. Hoy, por fin, encontraré a Gigi Vesigna, personaje fundamental en la historia de la crónica del espectáculo, gran mediador en la relación entre mundo de la música y público.
Mina ha cantato undici sue canzoni. E altre sicuramente ne canterà. Lui ha assestato un bel po’ di altri ottimi colpi con brani cantati da pop.star e altri mostri sacri e altre collaborazioni assolutamente invidiabili. È titolare di un sito che si potrebbe dire prezioso, molto ben organizzato, da cui traspare una chiarezza di idee molto simile ad un talento naturale che va ad unirsi a quello di musicista e autore di testi forti e precisi.
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